– Se penso alle partite che giocava quell’uomo in Nazionale… – sospira una voce commossa.
In televisione un uomo anziano, ma ancora in splendida forma, sta parlando del suo Capitano di tanti, tantissimi anni fa. Capitano della Grande Inter, non della Nazionale, ma la voce, che è stata assolutamente sincera nel complimento, è milanista e non si può pretendere altro anzi, in questo modo l’elogio vale già di più.
Anche quell’uomo anziano è commosso, come la voce che lo ha appena esaltato. Sta ricordando alcuni dei momenti più belli della sua vita. Sta ricordando il Capitano, il compagno di viaggio, l’amico con cui si giocava al “Gabbione”, sta ricordando Armando Picchi. “Giocavamo sereni, tranquilli, tanto le colpe se le prendeva tutte lui”. Quali colpe poteva mai avere la difesa più forte del momento non si sa, ma sicuramente si sa quale fosse “la Roccia” di quella difesa, ed era proprio lui, quel signore anziano, ma ancora in splendida forma: Tarcisio Burgnich.
Lo chiamavano così: “la Roccia” ed era stato proprio Picchi a dargli questo soprannome. L’Inter stava affrontando la Spal, la squadra dove Picchi aveva giocato prima di arrivare all’Inter e di cui conosceva quindi tutti i giocatori. A un certo punto uno di questi, Carlo Novelli, si scontrò con Burgnich e precipitò a terra come un albero abbattuto. Rialzandosi faticosamente Carlo guardò stupito Armando, il suo ex compagno di squadra, che gli disse: “Ti capisco, ti sei scontrato con una roccia”. In quegli anni i giocatori non passavano ore e ore in palestra come oggi, alcuni, anche capaci di aggiudicarsi il Pallone d’Oro, avevano il fisico di un semplice impiegato di banca. Tarcisio no, Tarcisio aveva il fisico del Bronzo di Riace quando ancora non era di moda, quando, se lo avevi, era proprio un dono di natura.
Burgnich era nato a Ruda il 25 aprile del 1939 e il sangue friulano che gli scorre nelle vene lo ha sempre contraddistinto. Lavorare sodo, con tanta grinta e umiltà, questo era il suo splendido modo di essere calciatore. Era un tipo silenzioso a cui interessava la sostanza. E senza fare grande clamore si portò a casa, militando nelle fila nerazzurre, quattro scudetti (1963, 1965, 1966, 1971), due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali (1964, 1965). Assieme al compagno di squadra Giacinto Facchetti formò la coppia di terzini più ammirata e invidiata degli Anni Sessanta e Settanta.