Zanetti, il Capitano del “Decalogo”

Calcio

Com’era bello il nostro Capitano “Pupi” in occasione del suo ultimo Derby della Madonnina giocato al “Meazza”. Lo stesso entusiasmo di sempre, la stessa gioia e la stessa forza delle partite giocate da ventenne, eppure, lui sapeva e noi intuivamo che quella del 2013-2014 sarebbe stata la sua ultima stagione da giocatore. Quel giorno abbiamo battuto il Milan e lui era felice, perché Zanetti lo ha sempre sostenuto con tutto il cuore: “Milano siamo noi!”. Guardatelo nelle belle immagini (del nostro Mattia Pistoia) che pubblichiamo: lui è il Capitano dell’Inter. Qui, di seguito, vogliamo ricordare anche alcune sue frasi, una specie di “Decalogo” (anche se le citazioni che riportiamo sono più di dieci) di Zanetti alla vigilia del Tripletedel 2010. Ci siamo fermati al 2009, perché è troppo facile parlare quando si trionfa, ma molto più difficile e da veri uomini amare quando si è in difficoltà. Il nostro grazie Capitano.

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Ecco alcune frasi di Javier Zanetti pronunciate prima dell’anno 2010, in cui l’Inter, condotta da José Mourinho, arrivò a conquistare lo storico e unico Triplete italiano: Coppa Italia, Campionato e Champions League.

«Io sono un giocatore normale. Mi piace soprattutto essere disponibile per la squadra. Giocare dove la squadra ha bisogno. E dare il massimo in ogni partita»

«Spero di rimanere all’Inter per sempre, perché amo questi colori»

«A volte il talento non basta, bisogna continuare ad allenarsi sempre per migliorare. Nessun giocatore è perfetto. Il mio difetto è il colpo di testa»

«Credo di avere una voce melodica e anche un po’ romantica. Registrare un disco era uno dei sogni della mia vita e grazie a Pazza Inter ho avuto la possibilità di realizzarlo»

«L’amore che c’è tra l’Inter e i suoi tifosi è la cosa più forte e sincera che io abbia mai visto! Su questo non c’è alcun dubbio»

«Io mi metto a disposizione dell’allenatore. Faccio quello che mi viene chiesto e cerco di farlo al meglio»

«La partita che ho più nel cuore è il mio primo Trofeo con l’Inter: la Coppa Uefa vinta nel ’98 a Parigi, in cui ho avuto la fortuna di segnare in uno stadio pieno di interisti. Indimenticabile»

«Il mio goal più bello resta il 2 a 0 realizzato nella Finale di Parigi contro la Lazio»

«Io mi ricordo benissimo quando ero bambino. Avevo tanta voglia di confrontarmi con i grandi e, soprattutto, di vincere»

«Io ho avuto una infanzia molto semplice e ho dovuto lavorare con il mio papà, per la mia famiglia. La prima cosa che ho imparato è l’umiltà, cercare sempre di guardare avanti, fare le cose per bene. Quando ho cominciato a giocare l’ho capito subito. Poi, ho avuto la fortuna di andare in Serie A, di appartenere alla Nazionale. Mi sono reso conto che ciò che mi ha insegnato la mia famiglia mi è servito molto per essere qui, così come sono oggi»

«Ho cominciato molto piccolo a giocare a calcetto. Quando avevo otto anni disputavo già i Campionati di Baby Football del mio Paese»

«Il dottor Moratti ha reso questa società una grande famiglia. A me questa caratteristica è sempre piaciuta, mi ha dato la possibilità di esprimermi al meglio»

«Arrivare all’Inter per me è stato il massimo; ha superato tutti i miei sogni… Appena arrivato all’Inter mi sono sentito subito come a casa mia»

«A volte qualcuno di noi non si ferma con i tifosi. Soprattutto i bambini ci rimangono male. Noi giocatori tutti i giorni siamo nel mirino, e tutti si aspettano almeno un sorriso, ma può capitare una giornata storta, un problema personale, o di essere soltanto stanco. Io ce la metto tutta per regalare un sorriso, ma può capitare un giorno diverso. Comunque capisco che noi dobbiamo essere gentili con i tifosi e io tento di farlo ogni giorno. Non è facile, ma sono sicuro che a nessuno di noi piace vedere un bambino piangere»

«El Tractor è il primo soprannome che mi hanno messo in Italia per il mio modo di giocare e di correre. Alla prima partita che ho giocato, subito mi hanno battezzato così»

«Ligabue, con una delle sue canzoni più belle, ha dato luce a un ruolo del calcio che è quasi sempre in ombra, ritengo sia un grande»

«L’Inter è una bellissima realtà in cui credere, che si vinca o che si perda»

«Sinceramente non riesco ad immaginarmi con una maglia diversa da quella nerazzurra e mi piacerebbe chiudere la carriera in questa squadra… e, poi, chissà, magari potrei diventare un dirigente della società»

«L’Inter è la mia famiglia, non posso pensare al mio futuro senza la maglia dell’Inter. Ringrazio il Presidente Moratti e la società per la grande fiducia che hanno sempre avuto nei miei confronti. Siglare questo contratto mi dà la possibilità di restare tranquillo in questo club, che mi ha dato davvero tantissimo soprattutto umanamente, questo mi rende orgoglioso. Obiettivi? Lavorare con professionalità e serenità per ottenere i successi che l’Inter e i suoi tifosi meritano»

«Le maglie che ho amato di più tra quelle nerazzurre che ho indossato sono: quella della vittoria in Coppa Uefa a righe orizzontali e quella del Centenario dell’Inter, bianca e rossa»

«Sono convinto che un giocatore dovrebbe controllare le emozioni, tuttavia non tutti ci riescono. Prima di protestare con l’arbitro bisognerebbe contare fino a dieci e stare tranquilli…»

“Siamo tra le squadre più forti del mondo, che altro aggiungere? Le sentenze gratuite fanno parte del nostro mestiere di calciatori, ma il nostro unico obiettivo è vincere. E così i tromboni cesseranno di suonare”

“I giornalisti li preferisco quando sono trasparenti e professionisti”

«Tutti pensano che noi calciatori pensiamo soltanto al pallone. Non è vero. A me, ad esempio, si sa, piace la musica, piace l’arte e, dopo, quando si trova la musica e l’arte insieme è l’ideale…»

«Il Piccolo Principe è un racconto che tutti i bambini dovrebbero leggere; anche gli adulti, che troppo spesso si dimenticano di essere stati bambini»

«Massimo Moratti e Giacinto Facchetti sono due persone alle quali, in tutti questi anni, mi sono sempre più affezionato»

«Moratti è l’Inter. Mi fa grande piacere essere stato il suo primo acquisto ed essere ancora insieme a lui in questa avventura. La sua semplicità e la sua umiltà, continuano a stupirmi»

«Dell’Argentina potrei parlare per ore. È un grande Paese, con bellissimi paesaggi, posti stupendi, tutti i tipi di clima e tante risorse. Vi consiglio di visitarla, non ve ne pentirete»

«Lasciare l’Argentina è stata una scelta difficile, ma l’avrei fatta solo per andare in una grandissima squadra come l’Inter e sono felice di aver deciso così»

«Io e Paula pensiamo che i nostri figli siano i più bei regali mai ricevuti»

«Quando mi guardo indietro e penso alla mia infanzia, mi vengono in mente tante immagini, sia belle, sia brutte. Ho avuto un’infanzia difficile e anche se oggi non vivo nel mio Paese, sono al corrente della situazione che sta attraversando e dell’effetto che questo ha sui bambini più poveri. Ho sempre pensato che ognuno di noi deve darsi da fare e considerare che ha una certa responsabilità sociale all’interno della sua comunità. Per questo si deve cercare di mettere tutto l’impegno e gli sforzi per raggiungere un obiettivo comune, proprio come si fa in una squadra di calcio. Da questa convinzione è nata l’idea di costituire una fondazione che, raccogliendo degli aiuti, potesse mirare principalmente a soddisfare dei bisogni fondamentali come l’alimentazione, l’educazione, l’igiene e la cura dei bambini e di conseguenza aiutare le loro famiglie e la comunità in cui essi vivono»

«In Argentina il calcio è molto sentito. C’è tanta passione. Io mi ricordo, quando, da bambino, la mia mamma mi ha regalato il mio primo pallone che andavo a giocare lì nel quartiere con i miei amici e con altri bambini… Mi divertivo tantissimo. In Argentina è un po’ così: giochiamo per le strade e a volte le chiudiamo per fare il campetto. Ci sono tanti quartieri che si chiamano potreros e lì, a volte, nascono dei grandi Campioni»

«Soltanto a due persone al mondo permetto di spettinarmi: mia figlia Sol e, quando sarà in grado di farlo, il mio piccolo Ignacio»

«Credo che vedere San Siro così pieno, per noi sia molto importante. Questa è la nostra festa. Fare parte della Storia di questa grande società è un motivo di orgoglio. Sono contento di avere la possibilità di festeggiare da Capitano questo giorno»

«Noi giocatori argentini, oltre al calcio, abbiamo in testa quello che hanno tutti; soprattutto da bambini abbiamo imparato ad essere umili, a lavorare molto, a non mollare mai per raggiungere l’obiettivo, anche se ci dobbiamo sacrificare e rinunciare a molte cose»

«Molto è stato cambiato grazie all’educazione. Attraverso gli anni le generazioni sono migliorate tantissimo. Per esempio, noi nella Nazionale, con Passarella abbiamo una educazione come quella europea. Da quando è tornato dall’Italia vuole che in Argentina ci sia la stessa educazione. Tutto quello che ha vissuto in Europa, piano piano, lo ha portato al River Plate – quando ne è stato allenatore – e poi, in Nazionale»

«A volte mi capita, quando devo giocare con la Nazionale per quindici giorni, al terzo, quarto giorno, comincio a sentire nostalgia per Milano»

«Portare la fascia da Capitano di una squadra così importante è un grandissimo onore, ma anche una grande responsabilità»

«La fascia da Capitano l’ho conquistata per anzianità: prima di me c’era Bergomi e poi Pagliuca, dopo sono arrivato io. Quando Ronaldo si è infortunato gravemente la prima volta, la società mi ha chiesto se potevo cedergli la fascia per farlo sentire importante e motivarlo, ho creduto che fosse giusto e ho detto subito di sì. Mi sembrava la maniera più corretta di venire incontro al gruppo, anche perché il momento era molto delicato per Ronaldo. Dopo l’ho riguadagnata e credo che indossarla per quasi 350 volte (inizio Stagione 2008-2009 – ndr) da Capitano dell’Inter sia una responsabilità e un onore unico»

«Durante l’invasione di campo, al termine di Parma-Inter, tutti hanno avuto paura della gente che ci veniva addosso, che non ci lasciava respirare… però è stato troppo bello»

«Sicuramente ci siamo divertiti due anni fa quando in Italia non avevamo che vittorie, ma io preferisco l’ultimo scudetto, quando era chiaro che eravamo noi l’avversario di tutti, quando siamo passati oltre ogni difficoltà, quando abbiamo sempre avuto il fiato sul collo fino all’ultima partita»

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Pierluigi Arcidiacono
Pierluigi Arcidiacono
Il nostro Direttore, Pierluigi Arcidiacono, un giorno chiese al suo papà di portarlo ad assistere a Inter-Sampdoria, nel 1971, quando non aveva ancora dieci anni. Aveva saputo che Suarez non giocava più con la maglia nerazzurra, ma con quella blucerchiata. Questo, nella logica di un bambino, gli appariva come una cosa molto strana, quindi, desiderava vederlo in campo. Quel giorno giocavano gli uomini che avrebbero vinto l’11° scudetto della storia dell’Inter e quella squadra rimarrà sempre nel cuore del nostro Direttore. La partita finì 3 a 1 per i nerazzurri. Segnò prima Mazzola al 46°, poi, Boninsegna su rigore al 65°, ancora Boninsegna all’80° e, infine, proprio davanti agli occhi del nostro Pigi Arcidiacono, Suarez segno il goal della bandiera su rigore. Passarono un po’ di anni. Pigi scrisse molto (poesie, articoli, libri e testi teatrali) e tra i suoi scritti si trovano anche diversi testi sull’Inter. Si ricordano soprattutto: “Vade retro Satana - Storie di una vita neroazzurra” (Librificio-Proedi - 2004), “Marco Materazzi - Degno della maglia” (Il Flabello - 2006), la monografia “La Grande Inter Anni ’60” (Cigra 2003 - 2007) e “Armando Picchi - Un nome già scritto Lassù” (Il Melograno - 2011). Da non dimenticare anche: “Massimo Moratti - Mai visto un cuore così grande” (Il Flabello - 2006) e il primo libro pubblicato in Italia su Javier Zanetti, “Milano siamo noi - Il cuore del Capitano” (Il Flabello - 2009) . Nel 2013, Arcidiacono, inizia a pensare al sito #INTER (Hashtag Inter) dove si tenterà di parlare di Calcio e dell’Inter diversamente, ma sempre con cuore.
http://www.hashtaginter.it