Conte come il Trap, parola di Morello – Di Carlo Codazzi

In Primo Piano Nerazzurri

Correva l’anno 1988. Per il Calcio italiano fu un’estate insolitamente lunga perché il Campionato doveva prendere il via in ottobre, causa l’impegno della “Nazionale Olimpica” nella manifestazione a cinque cerchi che si svolse a Seoul, a partire da metà settembre.

L’inter del Presidente Ernesto Pellegrini voleva riscattarsi, dopo il deludente 5° posto della stagione precedente, con l’obiettivo di scucire lo Scudetto dalle maglie del Milan berlusconiano guidato da Arrigo Sacchi.

Al volante dell’Inter il pilota era, per il terzo anno consecutivo, Giovanni Trapattoni, che al termine del mercato estivo aveva ricevuto in regalo da Pellegrini cinque nuovi “pezzi” da assemblare nel motore nerazzurro per potenziarlo e aumentarne i giri. Alla “Pinetina” erano approdati: Nicola Berti, Alessandro Bianchi, Ramon Diaz e i panther germanici Lothar Matthäus e Andreas Brehme. A guardare questi Campioni, con gli occhi trasognati, c’era un ragazzino moro di vent’anni, appena inserito dalla Primavera nerazzurra in Prima squadra. Il ragazzino era Dario Morello che doveva completare il reparto di attacco composto dalla coppia Serena-Diaz.

Dario, ora 53enne, ci racconta l’Inter del Trap che vinse il mitico “Scudetto dei record” 1988/1989 e che tante similitudini pare avere con l’Inter di Antonio Conte, appena laureatasi Campione d’Italia 2020/2021. Sia Giovanni Trapattoni, sia Antonio Conte hanno regalato ai “Bauscia” lo Scudetto dopo una lunga attesa.

Morello: “L’Inter vincente di Conte, in effetti, mi ricorda molto quella di Trapattoni. Entrambe con un allenatore ex juventino, entrambe uscite con le ossa rotte dalle Coppe, suscitando molte polemiche e attacchi al tecnico. Tutte e due le formazioni basate su una difesa di ferro con una forte coppia di attaccanti davanti, poi entrambe hanno accelerato a passo di record nel Girone di ritorno vincendo lo Scudetto con quattro giornate di anticipo”.

Dario, quale fu il segreto che portò l’Inter di Trapattoni a stravincere quello Scudetto facendo man bassa di record?

Morello: “Sicuramente il gruppo, che era fantastico. La rosa era formata da tanti Campioni supportati da giovani validi. I Campioni e i più “anziani” quali Baresi, Malgioglio, Bergomi, Matteoli, Ferri, aiutavano noi giovani a inserirsi e a maturare, il tutto sotto la guida del Trap, un tecnico vincente che ha gestito al meglio la rosa a disposizione cementando il gruppo. Un po’ come mi pare abbia fatto Conte. Aggiungo che anche il club ci ha supportati nel migliore dei modi. Era tutto perfetto”.

Hai potuto osservare da vicino i “Gemelli del goal” Serena e Diaz. Quali erano i loro punti forti dal punto di vista tecnico?

Morello: “Aldo era formidabile nel gioco aereo. Ramon col sinistro faceva quel che voleva. Erano professionisti esemplari. Si impegnavano al massimo in allenamento e volevano sempre migliorarsi. Da loro ho cercato di imparare tutto ciò che potevo e quello che ho appreso mi è servito parecchio in carriera”.

Hai un ricordo particolare che li riguarda?

Morello: “Mi hanno sempre trattato con il massimo rispetto, cercando di aiutarmi senza farmi sentire la loro riserva. Il ricordo che testimonia questo c’è. In Coppa Uefa per la gara in trasferta con l’IK Brage il mister decise di schierarmi al posto di Diaz. Ero emozionatissimo, ma Ramon mi ha incoraggiato dicendomi di stare tranquillo. Mi diede consigli preziosi, altrettanto fece Aldo e io giocai bene. Vincemmo 2 a 1 e io ho realizzato la rete della vittoria. Punizione battuta da Lothar, “torre” di Serena che la mise in mezzo e il sottoscritto a tagliare davanti al difensore e ad anticipare l’uscita del portiere con un tocco di esterno collo destro. Palla in rete e una gioia da svenire”.

Con chi legasti in particolare in quell’Inter?

Morello: “Avevo un rapporto di amicizia particolare con Alex Bianchi e Alberto Rivolta, che purtroppo è mancato un anno e mezzo fa. Con Alex mi sento tuttora spesso. Ho mantenuto ottimi rapporti anche con Bergomi, Berti, Matteoli e Baresi. Anche con loro mi sento spesso”.

Durante i ritiri chi era il tuo compagno di stanza?

Morello: “Nicola Berti”.

Ritiri tranquilli allora con Nick in camera…

Morello: “Mica tanto, Nicola è un pazzo! Lo dico nel senso buono del termine. Non riuscivo mai a seguire la televisione con lui che non stava mai fermo. Era un giocherellone, mi saltava addosso d’improvviso fingendo di picchiarmi. Tranquillità zero…”

Non avevamo dubbi. Hai detto prima che eravate un gran gruppo, ma all’esterno si parlava di contrapposizione tra il clan “storico” (composto da Zenga, Bergomi, Ferri, Baresi) e i tedeschi. Era davvero così?

Morello: “Contrapposizione no, ma i tedeschi ragionavano diversamente da noi perché intendevano la vita, il Calcio e i ritiri in modo differente. Nessuno comandava su nessuno, tanto meno Zenga e il gruppo storico. Non era un clan come si diceva. Nell’ambito di uno spogliatoio è normale legare più con un compagno rispetto a un altro, ma eravamo uniti con un obiettivo comune che volevamo raggiungere tutti insieme. Lo staff tecnico e il Presidente Pellegrini ci hanno aiutato a cementarci tra noi, nonostante ci fossero diversità di pensiero e diversi modi di vivere il Calcio. Non era affatto facile gestire un leader come Matthäus, ma Trapattoni e Pellegrini ci riuscirono”.

Che ricordo hai del Presidente Ernesto Pellegrini?

Morello: “Molto bello, perché era una persona garbata, educata, sempre presente. Prima delle gare interne cenava con noi alla “Pinetina” assieme ai suoi collaboratori e ci seguiva in molte trasferte. Lo scorso ottobre sono stato a cena a casa sua, per festeggiare il suo ottantesimo compleanno, assieme a Berti, Bergomi, Brehme, Baresi, Ferri, Serena, Bianchi e Klinsmann. Una bellissima rimpatriata e mi ha fatto tanto piacere rivedere il Presidente. Quel magnifico Scudetto l’ha meritato più di tutti”.

Rispondono al vero le voci che raccontavano che l’ultima parola, riguardo gli acquisti di mercato, spettava alla Signora Pellegrini che sottoponeva il calciatore di turno da ingaggiare a un esame grafologico ? Il trasferimento dalla Lazio all’Inter di Sergio, a dire del giocatore laziale, saltò proprio per non avere superato il test con la “First Lady” nerazzurra…

Morello: “Posso dire che nell’ambiente dell’Inter girava la voce riguardo a questi test che faceva la Signora, ma non ho mai avuto certezze in merito”.

Quindi, non hai dovuto sostenere il test grafologico per passare in prima squadra?

Morello: “Per fortuna no”.

In quella grande Inter c’erano tanti leader. Il Trap chi ascoltava di più?

Morello: “Trapattoni parlava molto con i calciatori in generale e li ascoltava. Si confrontava con la squadra, soprattutto quando si dovevano affrontare e limitare grandi Campioni. Lo trovo giusto perché il mister predispone il piano partita, ma se in campo le cose prendono una piega diversa dal preventivato sono i giocatori a dover rimediare. Questo il Trap lo capiva perfettamente”.

Raccontaci un aneddoto sul mister.

Morello: “Accadde che io e Rivolta durante un ritiro alla “Pinetina”, dopo la cena, stavamo fumando seduti in poltrona davanti alla camera di Klinsmann. Niente faceva incazzare Trap come beccare un suo calciatore a fumare e io e Alberto di “paglie” ce ne fumavamo parecchie. Alberto dava le spalle alla camera di Jürgen, io ero seduto di fronte. Improvvisamente si aprì la porta della stanza e comparve il mister. Io misi la mano con la sigaretta dietro lo schienale e cercai di far segno con gli occhi ad Alberto che non capì. Il Trap lo beccò, lo guardò torvo e gli disse secco in dialetto milanese : “Ué ste fe? Te fumet?”, Alberto divenne viola…”

Che rapporto avevi con Trapattoni?

Morello: “Ero un suo pupillo, ci scambiavamo tante battutine in dialetto milanese, poi lui concludeva “Ti te capis minga el dialet” . Io gli rispondevo: “Caz mister, sun milanes” e lui di rimando: “Sì, milanes del tac…”. Mi considerava il suo portafortuna infatti, quando le partite non si sbloccavano, mi buttava dentro e dopo poco segnavamo. A fine gara il mister mi diceva: “Morello ti te port cul”.

Trapattoni attento alla difesa, Matthäus offensivista. Chi prevaleva?

Morello: “Come ho detto il mister si confrontava e parlava con i giocatori. Era così anche con Lothar, ma poi decideva Trapattoni, ovviamente. Matthäus voleva sempre attaccare, ma non capiva che bisognava anche difendere, soprattutto quando si affrontavano avversarie con Campioni che potevano segnare in qualsiasi momento. Il Campionato 1988/1989 fu un Campionato del mondo perché c’erano tutti i giocatori più forti del pianeta che militavano nelle big e pure le piccole avevano stranieri molto bravi”.

Quale giocatore avversario ti ha colpito di più nel Campionato 1988/1989?

Morello: “Immagino dovrei dire Maradona invece, da attaccante, dico Marco van Basten”.

Nella rosa dell’Inter Campione d’Italia 1989 chi era il più “birichino”? Berti?

Morello: “Adesso ti sorprendo. Berti e Lothar erano scatenati, ma il più “monello” in realtà era Ramon Diaz. Visto da fuori poteva sembrare timido, al contrario era sempre pronto a sorprenderti e a combinarti uno scherzo. Era un goliardico”.

Quale è stato il momento della svolta che vi fece volare verso lo Scudetto dei record?

Morello: “Fu la sconfitta (1 a 3 dopo la vittoria interista per 2 a 0 dell’andata ndr) col Bayern nel match di ritorno degli Ottavi di Coppa Uefa, che ci costò l’eliminazione. Un Ko pesante a soli quattro giorni da un derby importantissimo. Subimmo critiche aspre e Trapattoni fu massacrato da critica e tifosi, ma ci compattammo attorno al nostro mister cui volevamo bene perché sapeva farsi voler bene. La colpa di quell’eliminazione era soprattutto di noi calciatori perché in campo c’eravamo noi. La dirigenza consultò i giocatori simbolo per verificare se era opportuno cambiare tecnico, ma Zenga, Bergomi, Ferri e Baresi difesero Trapattoni che rimase al suo posto. La svolta è stata quella perché vincemmo il derby e da lì iniziò la grande cavalcata”.

Sembra una vicenda in fotocopia con quella dell’Inter “contiana” che ha subito una dolorosa eliminazione dalla Champions ad opera dello Shakhtar per poi intraprendere una travolgente cavalcata in Campionato e vincerlo. Concordi?

Morello: “Sì. Ci sono state tante critiche verso Conte come accadde al Trap, ma la squadra è ripartita come fece quella del 1989, seguendo il suo mister e i risultati si sono visti. Certo, uscire dalla Champions in un Girone per me abbordabile ha fatto male, ma le sconfitte possono originare grandi vittorie se interpretate nel modo giusto. Ed è ciò che è accaduto sia con Trap, sia con Conte”.

Giochiamo a vero o falso. Trapattoni è un difensivista. Vero?

Morello: “Falso. Bisogna contestualizzare. Allora le difese erano disposte a uomo e si giocava con il libero. Anche Baresi nel Milan di Sacchi scalava dietro. Il Trap studiava minuziosamente gli avversari che in quegli anni avevano dei super Campioni, così il mister cercava la tattica giusta per limitarli. Aveva l’intento di vincere limitando i Campioni altrui per poi colpire con quelli che aveva lui a disposizione. Non si poteva ignorare, per rendere l’idea, che nel Napoli giocassero Maradona e Careca. Quando andammo a Napoli il mister scelse di togliere un attaccante per mettere Baresi che si doveva incollare al “Pibe” e andò bene perché l’asso argentino fu annullato. Se si riusciva a contenere Diego si toglieva al Napoli il 50% del suo potenziale”.

Beppe Baresi fu il jolly preziosissimo di quella squadra meravigliosa. Lo pensi anche tu?

Morello: “Assolutamente sì. Baresi era un’arma importante da spendere in certe gare per contrastare giocatori avversari molto tecnici e difficilmente marcabili. Beppe sapeva giocare in tutti i ruoli, anche in porta, ed era un calciatore molto intelligente. Il mister lo utilizzava sempre nel momento giusto perché sapeva sfruttare al meglio le doti dei suoi uomini. Trapattoni tatticamente era insuperabile. Ricordo che quando affrontammo la Samp di Boškov predispose una marcatura ferrea su Mancini che oltre a segnare molto era il regista della fase offensiva blucerchiata. Così facendo riuscimmo a bloccare lui e a neutralizzare la Samp che battemmo sia all’andata, sia al ritorno”.

Vendere Diaz per inserire Klinsmann, nella stagione successiva, ha indebolito l’Inter dei record. Vero o falso?

Morello: “Parzialmente vero. Diaz incontrò difficoltà all’inizio con il mister che lo fece giocare poco nel Girone di andata, perché pretendeva da lui determinati movimenti. Nel Girone di ritorno Ramon si adattò ed esplose come tutta l’Inter. Trap aveva capito che era un attaccante molto diverso da Serena, ma che i due insieme si completavano a vicenda. Faccio un esempio: una delle scelte tattiche di Trap prevedeva la palla lunga per Serena che la spizzava per l’inserimento di Diaz. Ramon e Aldo erano una coppia di attaccanti perfetta. Anche Jürgen era un ottimo attaccante, ma si basava sulla fisicità e sulla corsa mentre Diaz era più intelligente nei movimenti, soprattutto in quelli da fare attorno a Serena con cui era più complementare rispetto a Klinsmann. Tutto questo conduce ad un’altra similitudine con l’Inter di oggi, perché il rapporto Conte-Eriksen mi ricorda quello del Trap con Diaz”.

Perché, a tuo parere, fu ceduto Diaz?

Morello: “Fu una decisione presa in comune accordo tra la società e il mister. Io un altro annetto con Diaz l’avrei fatto. A volte si fanno certe operazioni per sganciare la bomba di mercato. Forse fu questo il caso, così Jürgen si andò a unire a Lothar e Andy Brehme formando il trio tedesco che si contrapponeva a quello olandese del Milan”.

L’Inter dei record”, con il solo inserimento di Klinsmann per Diaz, qualche mese dopo la conquista di quello Scudetto meraviglioso vinse la prima Supercoppa Italiana della storia interista.

Morello: “Proprio così. Battemmo 2 a 0 (reti di Cucchi e Serena ndr) la Samp di Vialli, Mancini, Vierchowod e Cerezo a San Siro, giocando con un freddo cane. Avevo i brividi e non solo per l’emozione della vittoria della Coppa. A parte quest’anno per via del virus, se penso che adesso normalmente vanno a giocarla a Dubai… Vorrei però aggiungere: un altro particolare che unisce l’Inter del Trap a quella di Conte…”

Prego, aggiungi pure.

Morello: “Conte ha adottato a inizio stagione una tattica di gioco più spregiudicata per poi tornare all’antico dopo l’uscita dalla Champions e vincere lo Scudetto. Trapattoni, nel Girone eliminatorio di Coppa Italia, disputato prima del Campionato, sperimentò la “zona” con un baricentro più alto, ma fummo eliminati dalla Fiorentina che ci rifilò quattro pere con la nostra difesa che pareva un colabrodo (vinse la Fiorentina 4 a 3 ndr). Trap capì che la zona non era nella sue corde e nemmeno in quelle della squadra e tornò alla difesa a uomo con il libero, impostando la tattica sulla solidità difensiva. Anche quel Ko fu fondamentale per diventare Campioni d’Italia. La storia si è quindi ripetuta anche per l’Inter di oggi, che ha vinto il titolo nazionale grazie al ripensamento tattico del tecnico e dopo essere uscita, come allora, anche dalla Coppa Italia”.

Quale è stato il momento più bello di quella stagione 1988/1989?

Morello: “Facile, la vittoria sul Napoli che ci diede aritmeticamente il titolo con quattro giornate d’anticipo. Vincemmo 2 a 1 in rimonta con le reti di Berti e Matthäus. Per gli azzurri segnò Careca. Personalmente devo confessare che ho vissuto un momento ancora più bello quando marcai il mio primo goal con la Prima squadra nerazzurra. Segnai, con la deviazione di Gualdo, alla Cremonese nel Girone eliminatorio di Coppa Italia. La rete era mia e lo sarebbe con i regolamenti attuali, ma non mi fu assegnata allora. Io, comunque, toccai il cielo con un dito”.

Cosa vi disse negli spogliatoi il Trap dopo la vittoria col Napoli che valse lo Scudetto?

Morello: “Si complimentò con ognuno di noi e ci disse che lo Scudetto era il giusto premio per il nostro grande impegno profuso nel lavoro quotidiano che avevamo svolto e per i sacrifici che avevamo fatto. Mi ritengo fortunato ad averlo avuto come tecnico, perché credeva molto nei giovani e mi ha fatto crescere tanto come uomo e calciatore”.

Giochiamo ancora a vero o falso. Sei riuscito a giocare nell’Inter che era ed è la tua squadra del cuore. Quando si gioca con la maglia del club di cui si è tifosi si da qualcosa in più in campo. Vero o falso?

Morello: “Assolutamente vero. Si portano dentro i valori, nel mio caso, dell’Inter e sai cosa provano i tifosi per quella maglia, perché tu eri uno di loro. Io sono cresciuto in una famiglia tutta interista e andavo in Curva Nord a tifare nerazzurro, anche se adesso, ahimè, vivo con moglie e figlio milanisti. Comunque, ai miei tempi si rispettava molto la maglia che si indossava, a prescindere, ma, restando nel mio caso, se giochi per la squadra della tua città e che tifi da sempre sei effettivamente spinto a dare qualcosa in più quando giochi. Questa domanda mi dà lo spunto per spiegare un altro particolare dell’Inter del Trap. Posso?”

Certamente.

Morello: “In quella squadra giocavano Zenga, Bergomi, Ferri, Baresi che erano cresciuti con la maglia dell’Inter addosso, proprio come me, ne capivano il valore che li spingeva a mettere in campo un grande senso di appartenenza. Un importante punto di forza di quell’Inter “trapattoniana” fu proprio il gruppo di giocatori provenienti dal Settore giovanile”.

Scegli un giocatore dell’Inter Campione d’Italia nel 1989 che inseriresti nell’Inter di Conte per aiutarla a rivincere lo Scudetto nella prossima stagione?

Morello: “Bella domanda. Matthäus no perché qualche tempo fa ha affermato che Barella gli assomiglia molto. Direi Alessandro Bianchi. Alex era un’ala destra a tutta fascia, proprio il tipo di esterno che piace a Conte, che sapeva difendere, ma anche segnare oltre che saltare l’uomo e crossare”.

Chi, invece, dell’Inter attuale inseriresti in quella record di Trapattoni?

Morello: “Senza alcun dubbio Lukaku, che inserirei nei titolari di qualsiasi squadra. Sarebbe stato benissimo in campo anche con Diaz e Serena”.

Dario hai collezionato 17 presenze nell’Inter Campione d’Italia 1988/1989 con tre reti all’attivo di cui due segnate in Coppa Italia e una in Coppa Uefa. Ti tenesti la gioia del goal in Campionato per la stagione successiva?

Morello: “Esatto. Nel Campionato 1989/1990 vincemmo 3 a 0 con la Lazio e io sbloccai la gara col mio goal. Ero subentrato a Lothar e ricordo che nel post match Materazzi, il tecnico laziale papà di Marco, non si dava pace perché diceva che Trapattoni non avrebbe mai potuto avere l’idea di rimpiazzare Matthäus con un giovane. Infatti, la sostituzione non fu il frutto di un’idea del nostro tecnico, ma di una contingenza negativa: Lothar si fece male e fu costretto a mandarmi in campo. Così io sono entrato e ho subito segnato. Fantastico!”

Ci racconti come sei arrivato all’Inter?

Morello: “Volentieri. Sono cresciuto nell’URI società del Parco Lambro di Milano affiliata all’Inter. Il Presidente dell’URI era Ferrari, una grande persona, che aveva ottimi rapporti col Milan di cui era tifoso, ma si fece avanti l’Inter ed essendo la sua società affiliata ai nerazzurri mi cedette a malincuore a quest’ultimi. Feci un anno agli ordini di Enea Masiero alla Beretti, poi passai in Primavera con Mario Corso allenatore. A Corso subentrò Giampiero Marini che quando il Trap voleva far acquistare una terza punta gli disse che in casa c’era già e fece il mio nome. Marini mi diede l’opportunità di fare un “Double” particolare. Ero reduce da un infortunio, ma lui insistette col Trap per farmi giocare la doppia Finale del Campionato Primavera contro la Roma. Trapattoni cedette e a Roma vincemmo 1 a 0 grazie a una mia rete. Al ritorno a Monza finì 0 a 0 e vincemmo il Campionato. Io vinsi così, nel 1989, lo Scudetto con la prima squadra e quello con la Primavera. Non da tutti…”

Non da tutti davvero, complimenti. Che ci dici a proposito della “bomba” che è esplosa nel mondo del Calcio, ovvero del progetto poi abortito della Superlega?

Morello: “Dico che non mi piace proprio. Nel Calcio deve prevalere la meritocrazia. La Superlega è un’idea di Calcio sbagliata, pensata dai grandi club in difficoltà economica che si trovano in quella brutta situazione non solo per colpa del Covid. La verità è che pagano ingaggi assurdi. La Superlega non è la soluzione, occorre abbassare il monte ingaggi, introdurre un salary cap, ossia fissare un tetto massimo di stipendio, e tornare a investire molto nei settori giovanili”.

Zhang aveva accettato l’invito di Agnelli e ha dato l’Ok a inserire l’Inter in quel torneo tanto simile alla N.B.A. Che ne pensi?

Morello: “Penso che abbia sbagliato. L’Inter doveva e deve restarne fuori”.

Dario ti ringraziamo per la lunga chiacchierata. Da tifoso, vuoi dire qualcosa a Conte e ai suoi ragazzi ?

Morello: “Innanzitutto mi complimento con loro per questa bellissima impresa, poi li ringrazio per la grande gioia che hanno regalato a me e ai milioni di tifosi interisti che hanno festeggiato a tutte le latitudini. Li ringrazio anche per avermi fatto rivivere quella fantastica stagione 1988/1989, che ho vissuto con la maglia nerazzurra. Auguro loro di compiere un’ulteriore impresa che a noi non riuscì: rivincere lo Scudetto la stagione successiva! Vorrei vedere brillare la seconda stella sulla maglia della nostra Inter”.

Dario Morello: nato a Lecce l’11 gennaio 1968

Ruolo: centravanti e attaccante esterno

Altezza: 1,78 cm.

Peso: 70 kg.

Palmares:

1 Scudetto (Inter)

1 Supercoppa italiana (Inter)

1 Campionato Primavera (Inter)

2 Campionati Serie B (Reggiana e Bologna)

1 Campionato Serie C (Bologna)

Vanta in carriera 43 presenze con la prima squadra dell’Inter con un bottino personale di 5 reti.