Il Trono di Spade – Di Carlo Codazzi

In Primo Piano

Dopo undici anni l’Inter è riuscita a salire sul trono dei Campioni d’Italia, sottraendolo alla Juventus. È finito un lungo regno, onore ai vinti ma, soprattutto, onore ai nuovi Campioni.

Sul trono si è seduto il nuovo Re, Antonio Conte, idealmente assieme a tutti i tifosi interisti. Dal trono si possono guardare i sudditi (leggi: gli avversari) dall’alto in basso e si può spaziare con lo sguardo sul regno conquistato e scrutarne i confini. È sacrosanto che Conte, i suoi ragazzi e la tifoseria nerazzurra si godano il trionfo e assaporino fino in fondo il dolce sapore della grande impresa compiuta.

La conquista del titolo di Campioni d’Italia è stata definita dal tecnico dell’Inter un’opera d’arte.

Una definizione azzeccata cui noi vorremmo aggiungere l’aggettivo “capolavoro” considerando le gravose condizioni con cui Conte si è dovuto confrontare. Non ricordiamo la conquista di un titolo importante nella storia del Calcio raggiunta con un contorno cosi sfavorevole.

Riavvolgendo il nastro torniamo a inizio estate 2019 quando fu annunciato da Steven Zhang l’ingaggio di Antonio Conte. Fredda accoglienza da parte di una fetta importante della tifoseria “Bauscia”, diffidenza e a tratti ostilità da parte dei Media. Il passato juventino pesava come un macigno sulle spalle del tecnico leccese che si è immediatamente dovuto misurare con la scarsa voglia della proprietà cinese di investire sul mercato.

Come noto, Conte è stato a un passo dalle dimissioni quando ha constatato che Zhang era recalcitrante, in particolare, riguardo gli acquisti di Džeko e Lukaku. Sbattendo i pugni sul tavolo è riuscito a convincere il titolare di Suning a fare approdare “Big Rom” ad Appiano Gentile, nulla da fare invece per il bosniaco. Il percorso è sempre stato in salita per l’allenatore pugliese che, alla fine dello scorso Campionato, è sbottato palesando il proprio scontento verso la società nerazzurra colpevole di averlo più sopportato che supportato, nonostante il secondo posto raggiunto a un solo punto di distanza dalla Juve di CR7. Dopo la delusione della Finale di Europa League persa immeritatamente, per Conte è arrivata la doccia fredda della “famosa” riunione di Villa Bellini in cui gli venne annunciato, a brutto muso, che il “Progetto era finito” (Conte dixit). Fu faticosamente concordato un armistizio tra il tecnico, la Proprietà e la Dirigenza che non ha certo contribuito a creare le migliori condizioni operative per il tecnico.

L’inizio della nuova stagione tra l’indifferenza dei proprietari, il distacco dei dirigenti (escluso Marotta) e le mensilità non corrisposte a Staff tecnico e squadra deve avere assunto per il mister nerazzurro i connotati di un Everest da scalare senza bombole di ossigeno in piena stagione invernale.

L’eliminazione dalla Champions League, frutto più della sfortuna (citiamo ad esempio: i tre legni colpiti nei due confronti con lo Shakhtar) e di errori individuali di alcuni giocatori nerazzurri, oltre che di arbitraggi infelici che di colpe specifiche del mister, ha sottoposto Conte a un’imponente gogna mediatica mettendo persino in discussione la sua immediata permanenza sulla panchina salvata soltanto dal suo stipendio (troppo oneroso il suo esonero).

Eventuali speranze covate da tifosi e dallo stesso Conte di trovare nuova linfa per la rincorsa allo Scudetto nel mercato di gennaio sono state stroncate sul nascere dal diktat di Zhang di non effettuare operazioni in entrata.

A tutto ciò si sono aggiunte a getto continuo fastidiose voci di trattative di cessione del club con l’alternarsi di nomi di possibili acquirenti e, nel frattempo, continuavano le difficoltà nel pagamento delle mensilità e le illazioni sulle crepe sempre più profonde del bilancio societario interista.

Mentre Conte auspicava pubblicamente che il futuro del F.C. Internazionale Milano trovasse rapidamente una chiara definizione, le trattative relative alla cessione del club continuavano a saltare sulla dirittura d’arrivo. Il perché del fallimento di queste trattative ci è stato svelato con il comunicato congiunto di 12 top club europei (tra i quali l’Inter…) che annunciavano la nascita della “Superlega”, cui la famiglia Zhang aveva, zitta zitta, aderito.

Così sul mister e la squadra è caduta anche questa bomba la cui deflagrazione paventava squalifiche, multe e penalizzazioni varie da parte di UEFA e FIFA ai danni dei club fondatori della “Superlega” e dei loro tesserati. Dunque, Inter impegnata in una cavalcata Scudetto irta di ostacoli extracampo. Non esattamente il contorno ideale per compiere una grande impresa sportiva.

A quel punto Antonio Conte ha dovuto vestire i panni di Rembrandt per dipingere la propria opera d’arte e renderla impermeabile agli innumerevoli agenti negativi. Il risultato è stato eclatante degno dei grandi capolavori esposti al Louvre e agli Uffizi.

Così, il tecnico nerazzurro e i tifosi interisti si sono idealmente accomodati sul trono dei Campioni nazionali, ma il trono risulta tutt’altro che comodo perché composto da spade che si conficcano su chi ci si siede. Un trono di spade che ricorda quello della mitica serie televisiva, conteso tra lotte, guerre e intrighi dai vari Lannister, Stark e Baratheon. Anche la Corona destinata ai nuovi “Reali” del Calcio italiano ha poco di regale e assume, invece, le parvenze di una “Corona di spine”.

Perché parliamo di spade e spine? Perché la gioia e i festeggiamenti della squadra e del popolo interista sono ben presto evaporati grazie all’accento posto da Zhang sui disastrati conti societari. Il proprietario dell’Inter non si è fatto intenerire dalle gioiose, intense emozioni vissute da una tifoseria frustrata da quasi un decennio di mortificazioni sportive e ha scelto di oscurare l’orizzonte interista che ha perso l’azzurro per immergersi nel nero. Del resto, come canta Elio (delle “Storie tese”), per l’Inter niente è mai normale, neppure la vittoria di uno Scudetto a lungo sognato.

Al Patron dell’estremo Oriente dello Scudetto sembra importare poco. Fallito il progetto della “Superlega” che gli avrebbe permesso di riempire le casse del club e le sue personali tasche, Zhang ha paventato una robusta sforbiciata agli emolumenti di giocatori, Staff tecnico e dirigenti destando forti preoccupazione nei supporters della “Beneamata” che intravedono la concreta possibilità di un brusco ridimensionamento delle ambizioni sportive dell’Inter, proprio quando quest’ultima ha appena ritrovato la grandezza perduta.

Il boss di Suning avrebbe anche fatto un tentativo per evitare di devolvere lo strameritato “Premio scudetto” a squadra e Staff tecnico per poi tornare, bontà sua, sui propri passi, probabilmente sconsigliato in proposito da Marotta.

Tempistica perfetta da parte degli Zhang, proprietari che si sono sempre distinti per la loro lontananza dall’Inter sia fisica, sia morale. Il rampollo della dinastia Zhang, Steven, Presidente assente da ottobre, è atterrato a Milano giusto in tempo per rovinare la festa agli autori della grande impresa Scudetto e a chi ha veramente l’Inter nel cuore.

Un minimo sindacale di stile, di rispetto del lavoro, dei sacrifici e delle passioni altrui, nonché di considerazione del prossimo avrebbe dovuto indurre i “padroni” dell’Inter a posticipare i propositi di tagli ai costi del personale al giorno successivo l’ultima giornata di Campionato. Invece, il Presidente dopo aver stappato lo champagne assieme a Conte e ai giocatori ha provveduto a servire loro l’amaro sotto forma di richiesta di rinuncia a un paio di mensilità. Non possiamo affermare che non si sia mai vista una cosa simile nel Calcio verso chi ha appena conquistato un titolo importante perché gli stessi Zhang hanno provveduto a calare le saracinesche, con tanto di scritta “Chiuso per fallimento”, alla sede dello Jangsu, fresco vincitore della Chinese League, evitando pure di pagare qualche stipendio dovuto a tesserati e dipendenti del club di Nanchino. Evidentemente, in Cina la gratitudine non è di casa.

I “Signori” del “Calcio business”, con la boutade della “Superlega”, hanno tentato di calpestare i sentimenti dei tifosi, ma ne sono usciti sconfitti e con i bilanci ancora più appesantiti. Il punto è che la passione dei tifosi è il carburante di cui necessita il motore del sistema Calcio che è fatto di tradizioni che hanno scritto pagine di una storia che non si può cancellare.

La famiglia Zhang ha il merito di avere assunto Marotta che, a sua volta, ha portato Conte all’Inter, ma non si è mai coinvolta nella storia e nella gloriosa tradizione del F.C. Internazionale e pare non averne sposato i valori che ne hanno originato la fondazione e caratterizzato il cammino sportivo.

I proprietari dell’Inter stanno tentando di trasformarla da glorioso e storico club calcistico in un brand grondante appeal commerciale cambiandone il nome, l’inno, lo storico stemma disegnato da Giorgio Muggiani 113 anni orsono, spingendosi sino (osservando foto indiscrete apparse sui Social) a spogliarne del nero la prima divisa ufficiale da gioco da sempre riportante i colori azzurro del cielo e nero della notte.

“Al peggio non c’è mai fine” recita un vecchio adagio e ora i Signori Zhang progettano un ridimensionamento che toglierebbe, probabilmente, l’Inter dal trono di Campioni d’Italia appena conquistato per precipitarla nuovamente nell’abisso della mediocrità oltraggiandone la storia e la tradizione.

Forse nella moderna Cina capitalista la storia e la tradizione hanno un’importanza relativa, ma per i tifosi della “Beneamata” l’importanza l’hanno eccome. Antonio Conte e i suoi ragazzi hanno riportato l’Inter al ruolo che le compete e l’hanno issata sul trono ponendo fine a un lungo regno juventino.

Il regno ora è neroazzurro! Sì, col nero oltre all’azzurro in barba alla nuova maglia e alle logiche del cinico marketing e su quel trono ci vuole restare Antonio Conte e ci vogliono restare i milioni di tifosi che, nonostante la pandemia, hanno festeggiato con tanto calore il 19° scudetto interista.

Sarà anche un trono di spade ma i “Bauscia” vogliono tenerselo stretto perché sono tornati a rivedere le stelle e sulla maglia della “Beneamata” non vogliono vedere sparire il nero ma aggiungere un’altra stella: la seconda.

(La foto in apertura di questo servizio è di ©Mattia Pistoia)

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