Questo meraviglioso Amore chiamato Inter – Di Riccardo Arcidiacono

Fuori Campo In Primo Piano Nerazzurri

Era già accaduto al nostro Direttore, Pierluigi Arcidiacono: era a Medjugorje (per motivi certamente differenti dal suo amore per il Calcio e per l’Inter). Sentì il rumore di un pallone sgonfio; lo seguì vicolo per vicolo e si trovò davanti un bambino. Un bambino con la maglia dell’Inter di Ronaldo (riportiamo in fondo a questo articolo l’intero episodio). Era il tempo in cui Ronie aveva subito il secondo incidente: quello a Roma, contro la Lazio. Il nostro Direttore si commosse…

Ora è toccato a Mattia Pistoia. Lo ricordate? È stato il primo fotografo di hashtaginter.it, anni fa.

Stesso cuore, stessa testa del nostro Direttore: quest’anno non è andato ad abbronzarsi a Ibiza o a Formentera, ma ha fatto un lungo viaggio in Indonesia. Osservava gli sguardi, annusava i colori… Sorrideva agli anziani, sorrideva ai bambini, sorrideva alle donne.
Intanto la sua Nikon fissava ogni istante del viaggio. Più di 50 giorni vivendo in questo modo: a tu per tu con le persone locali e scattando migliaia di fotografie.
Così, un giorno, si è trovato dinanzi all’ennesimo bambino: un po’ triste, un po’ solo, un po’ sporco; ma di quello sporco che non ti infastidisce.

Lo sappiamo: penserete che stiamo, “romanzando”, ma non è così…
Anche Mattia Pistoia, scattando, percepiva qualcosa nel suo cuore.
Così lontano da Milano, al momento, non ha subito pensato che quella maglietta indossata dal bambino fosse dell’Inter; anzi, quando il bambino si è girato è rimasto a bocca aperta.

È apparso quel meraviglioso simbolo FCIM: il nostro simbolo, il simbolo che unisce i cuori nerazzurri di tutto il mondo. Noi siamo l’Internazionale di Milano e Milano siamo noi, ma questo meraviglioso Amore chiamato Inter, percorre ogni sentiero del mondo. Amala!

TRATTO DA “Vade retro Satana – Storie di una vita neroazzurra” di Pierluigi Arcidiacono (Proedi-Librificio – 2014)

Medjugorje
29 giugno 2000

Medjugorje è un luogo di preghiera, col calcio non c’entra… forse. In questo villaggio nell’Erzegovina occidentale la preghiera si respira in ogni momento della giornata. Messe a tutte le ore del giorno e in tutte le lingue e, anche quando non c’era l’euro, in quasi tutti i locali si poteva pagare (e ti davano il resto) con qualsiasi moneta. Ore di adorazione, rosari, pellegrinaggi sul Monte Podbordo, dove la Madonna è apparsa la prima volta e sul Monte Krizevac, dove molti dichiarano di avere visto la luce e altri “segni”. Lì si trova un pezzetto della croce che è onorata dai cristiani come quella sulla quale è stato crocefisso Gesù Cristo.
La gente prega, non solo nella parrocchia e nelle altre chiese e cappelle, ma anche per la strada; impugna un’arma molto potente: il rosario. Anch’io recitavo molti rosari al giorno e facevo almeno un pellegrinaggio su uno dei due monti sacri. Mi piaceva andare alla messa francese, al mattino. I francesi pregano bene, cantano tutti insieme, per tutta la messa, e quando recitano il Notre Père sembra di udire un’unica potente voce. La loro lingua è talmente raffinata che le preghiere sembrano più dolci. E forse proprio perché la Francia è il Paese della Rivoluzione, i cattolici francesi sembrano essere dei veri e propri paladini del Cristianesimo. Andavo, ovviamente, anche alla messa italiana e poi, la sera, a quella croata, dopo il rosario. Alla messa della sera vanno quasi tutti. A me piaceva sentire la voce di Padre Slavko.
Una sera, prima di addormentarmi, avevo la sensazione di aver tralasciato qualcosa, ma non ricordavo cosa. Ero stato alle tre messe e sul Monte Krizevac, avevo fatto qualche telefonata in Italia, scritto qualche pagina di appunti; avevo fatto un po’ di adorazione eucaristica, eppure, qualcosa mi sfuggiva. Ecco: non avevo recitato le preghiere della sera! Questo solo per spiegare un po’ il clima che si crea a Medjugorje.
Un altro giorno ero stato da Marija, una delle veggenti, che oggi vive a Monza ed è sposata con un italiano, e insieme ai suoi figli eravamo andati a visitare il “Villaggio dei Fanciulli” di Medjugorje. Mentre tornavo verso casa, con la mente lontana da ogni pensiero, sentii un rumore noto, quello della palla contro il muro, quando i bambini giocano da soli tirandola forte oppure allenandosi a “passaggi”. Su un vecchio manuale firmato da Sandrino Mazzola questo è considerato un esercizio fondamentale, e forse i nuovi allenatori che pensano solo al fisico e al cronometro farebbero bene a ricordarselo. Quel suono era davvero comune; l’ho sentito in Brasile, in Egitto e nei nostri quartieri. A volte è un suono floscio, perché il pallone è un po’ sgonfio e nessuno ti accompagna a gonfiarlo bene dal benzinaio, oppure perché non si tratta di un vero pallone da calcio ma di una di quelle palle in gomma colorate o con su i personaggi dei cartoni animati. “Quasi quasi faccio due tiri”, e mi sono affrettato a percorrere quella strada per girare l’angolo. Forse proprio in quei momenti Toldo parava i rigori all’Olanda. “Chissà se mi fa giocare? – pensavo – I bambini a volte preferiscono giocare da soli piuttosto che con a un vecchio di 38 anni.” Pem! Un tiro secco contro la saracinesca. “Ha un buon tiro il piccolo!”
Finalmente giro l’angolo… Io mi commuovo spesso, anche per le piccole cose, ma non sono mai lacrime banali. Il bambino è un soldo di cacio, forse un metro di altezza; si gira e sorride, ma con pochi denti. Mi fa giocare? La maglia gli arriva alle ginocchia, è neroazzurra, sulla schiena c’è il numero 9 e c’è scritto Ronaldo. I miei pensieri volano: Ronie quand’era piccolino che, come questo bimbo, gioca nelle favelas di Rio, il bimbo “sosia” che appare in un video-clip pubblicitario, Parigi, mio figlio, Susanna che in una intervista dice che Ronaldo gioca con la palla anche in casa dopo mangiato, il volto del fenomeno a Roma, pochi istanti dopo il suo rientro contro la Lazio, in Coppa Italia… L’Italia! “Fratelli d’Italia, chissà cosa sta facendo la Nazionale, magari siamo in finale… Perché dicono che l’Inno di Mameli è brutto? È così bello, basta suonarlo bene…” e istantaneamente parte una preghiera: “Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, però, se puoi, dai un pallone a tutti bambini del mondo, fai guarire Ronaldo, magari togligli un po’ di soldi ma fallo guarire, ti prego Gesù… ma davvero il Papa non sapeva chi era quando è andato a trovarlo con la mamma? Secondo me scherzava”.
Il bambino si avvicina e mi porge il pallone, guarda i miei occhi e sembra pensare: “Non c’è bisogno che piangi, se vuoi ti faccio giocare”.

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